ART ut ART

 

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DEL “TRICK” FRAMMENTO AMOROSO NEL DISCORSO

di Enzo Rossi-Ròiss

 Premesso che a ogni individualità è connesso una specie di quid che agisce alla maniera di una testata teleguidata e fa in modo che tale immagine, fra migliaia di altre, venga a trovarmi e mi catturi. Premesso ciò, scrivo del “Trick” frammento del discorso amoroso letteratureggiato da Roland Barthes. E’ “Trick” ogni incontro amoroso accaduto una sola volta: più di un adescamento, meno di un amore: un’intensità, che passa, senza rimpianto. Metafora di molte avventure che non sono tutte sessuali. E’ “Trick” l’incontro di uno sguardo, la condivisione di un’idea o di un’immagine, un sodalizio effimero e forte, che accetta di sciogliersi naturalmente, una bontà infedele, un modo di non impeciarsi nel desiderio, senza tuttavia schivarlo: una saggezza insomma. E’ “Trick” ciò che per un uomo ha sempre come inizio l’incontro con un tipo di donna vagheggiato (perfettamente codificato, però: tanto che potrebbe figurare in un catalogo o in una pagina di annunci del tipo AAA Cercasi). E’ “Trick”, quindi, ciò che, appena ha inizio lo scambio di opinioni condivisibili, consente all’uomo di trasformare in persona reale l’individualità femminile vagheggiata, e genera un rapporto prefigurato inimitabile, qualunque sia la banalità delle prime parole scambiate. Senza ricorrere alla psicologia, perciò, per ogni uomo e’ “Trick” l’incontro con una donna che si rivela a poco a poco: nell’abbigliamento, nel discorso, in ogni accento, nell’arredamento di ogni interno nel quale interagisce, in ciò che si potrebbe chiamare il suo vissuto domestico, in ciò che oltrepassa la sua anatomia, della quale ha però la gestione. Essendo il Trick affine al movimento amoroso: un innamoramento virtuale, bloccato volontariamente da una parte e dall’altra, per contratto tacito e sottomissione a un codice culturale che assimila l’abbordaggio di ogni partnership sessuale al dongiovannismo.

DEL “GRANDE AMORE” MITO SALVIFICO

di Enzo Rossi-Ròiss

Considerandomi destinato a concludere in tempi brevi il mio già lungo vissuto, straordinariamente connotato da incontri e scontri – sia positivi e fertili, sia negativi e sterili – meritevoli di essere versificati, oppure narrati – scrivo che il meglio delle mie creazioni letterarie edite e inedite – in versi e in prosa – le ho ideate e generate durante il percorso di alcune tappe del mio tour esistenziale, per contrastare l’amore che si ritraeva da me. Quale amore? Il “Grande Amore”: “…passione consolatrice e derisoria illusione, carica umorale ed elettrica o fulmine del destino”, per dirla con parole di Julia Kristeva. L’amore che mi risultava usurato e in rovina, pensandoci su. Costruibile e decostruibile letteratureggiato come mito salvifico, però, attraverso me, fuori di me, foriero di continua rinascita per la goduriosità di nuove emozioni e stupefazioni.

DELL’ EROTISMO DEGLI ARTISTI
(autointervista per una expo già allestita in più luoghi)

di Enzo Rossi-Ròiss

– Cos’è l’erotismo?
* E’ un efficace e potente elisir che può farci morire in buona salute, anche in età avanzata, se espresso e goduto senza remore. Come l’occulto, non cessa mai di attrarre, non fallisce mai il colpo, quando punta a colpire il centro della nostra esistenzialità e dei nostri interessi intellettuali e sentimentali.
– Che cos’è l’arte erotica?
* Tutto ciò che eccita i nostri sensi, accresce i nostri appetiti sessuali e la nostra vigoria, aumenta la nostra libido e favorisce ogni nostro abbandono all’istinto durante l’amplesso. “Io trovo l’arte erotica sana e, per coloro che sono inibiti o impotenti, terapeutica”, ha scritto Henry Miller. “Ci sono delle pagine del Tropico del Cancro che mi hanno provocato l’erezione”, ha scritto il poeta Blaise Cendras.
– Quando è erotica l’arte?
* Quando ci risulta ispirata dal desiderio sessuale: quando ci risulta arte fertile, dinamica, gioiosa, celebrativa delle gioie poetiche e conturbanti del sesso. L’arte è erotica quando rappresenta la parte più vigorosa della sessualità, con la sua infinita varietà di piaceri, liberati dai tabù e dai molti infingimenti che li “disturbano” ancora oggi, come in passato.
– Cosa distingue una buona opera da una cattiva opera d’arte erotica?
* Un buon romanzo erotico è caratterizzato da una indubbia abilità scrittòria, in bilico tra erudizione e maniera, supportata da fantasie. Una buona opera d’arte erotica (disegno, pittura, scultura, altro) è caratterizzata dalla quantità di carica simbolica che la singolarizza o dalla vastità del campo metaforico nel quale interagisce, occhieggiando al grottesco, all’ambiguità, alle stravaganze, al fantasmatico.
– Ci rivela qualche segreto per suscitare interesse con opere d’arte erotica?
* Per intrigare e conquistare il lettore con la scrittura erotica e lo spettatore con le immagini (siano dipinte, disegnate, scolpite, fotografate, cineriprese) è necessario fargli assumere inconsapevolmente il ruolo di voyeur, tanto da indurlo a darsi piacere praticando l’onanismo, se privo di partner “…a portata di mani e organi sessuali”.
– Le opere selezionate da me per le esposizione già organizzate a Bologna, Cagliari, Venezia e in altri luoghi, raffigurano o rappresentano l’eros artistico come nelle mie intenzioni ?
* Nelle opere selezionate per tali esposizioni, l’eros risulta rappresentato privilegiando l’iconografia immaginaria, più che quella reale. Poiché ho selezionato opere nelle quali l’eros e la sessualità risultano raffigurati simbolizzando, metamorfosando, delirando, angelicando, demonizzando, eccetera, anche quando la fisicità risulta evidenziata senza remore o infingimenti. Come curatore ho suggerito agli artisti di “creare” le proprie opere privilegiando l’humor, la stravaganza, l’ironia, il surreale, l’onirismo, l’allucinazione, l’incubo, il paranormale, il feticismo, il simbolismo, il macro e il micro rabelesiano (da Rabelais), il paese delle meraviglie sexuali.
– E’ possibile didascalizzare alcune delle opere esposte con poche parole esplicative?
* E’ possibile all’unica condizione di scrivere addosso all’opera, anziché scriversi addosso per dissimulare incapacità esegetiche. Esemplifico didascalizzando. JAUNBERGA: All’interno di una struttura formale fallomorfa, una mise-en-scene erotica e ironica, protagonista una mannequin portatrice disinvolta di una superba protesi priapica vulvofuoriuscente, in elegante scarpa iperdimensionata. DYOMA: Un bruco con testa glandomorfa eiacula tra fiori vulvoformi. BRIKE: Yin e yang antropomorfizzati e posizionati per soddisfare il desiderio amoroso, malcelato nello sguardo femminile che mira il fallo monumentalizzato con un uccello sulla sommità, in attesa d’altro uccello in volo e in arrivo. APKALN: Uno stravagante giardino dove fioriscono e appassiscono falli d’ogni dimensione e per ogni necessità. ZEMITIS: Per lo scultore lettone è un fiore, ciò che Gustave Courbet ha iconizzato nel 1886 col titolo “L’origine du monde”. SCHIFANO: Eros televisivo per telespettatori solitari voyeurs delle ore piccole. BAJ: Rustico falloshow ironico per un’ammucchiata patafisica. BOSICH: L’eros di un creativo immaginifico foriero di amplessi gargantueschi e pantagruelici.
– Concludendo….?
*Gli artisti sono uomini e donne con le stesse passioni, illusioni, desideri e sogni che procurano felicità anche a chi artista non è. Agli artisti è consentita la rappresentazione o raffigurazione della infinita varietà dei piaceri sessuali, in forma di immagini o parole.
(Alcune opere sono visibili cliccando “Priapeide” in Google)

 

DELLA PSEUDONIMIA DIGRESSIONATA DA CASANOVA

di Enzo Rossi-Ròiss

Grande è la forza del nome nel più sciocco dei mondi possibili. Coloro che hanno un nome che suona male o che evoca una immagine buffa, debbono cambiarlo se aspirano agli onori e alla fortuna legati alle scienze e alle arti. Nessuno può loro contestare questo diritto, purchè il nuovo nome che assumono non appartenga ad un altro. Penso che debbano crearsene uno. L’alfabeto appartiene a tutti e chiunque è padrone di servirsene per creare una parola e farsene il proprio nome.
Voltaire non sarebbe diventato immortale col nome di “Arouet”; gli avrebbero impedito l’accesso al tempio chiudendogli la porta sul naso, e anche lui si sarebbe avvilito sentendosi sempre chiamare “à rouer”. D’Alembert non sarebbe diventato illustre e famoso col nome di “Lerond”; Metastasio non avrebbe brillato col nome di “Trapasso”, Melantone col nome di “Terra Rossa” non avrebbe osato parlare di Eucaristia; il signor di Beauharnais avrebbe fatto ridere se avesse mantenuto il nome di “Beauvit”, anche se il fondatore della sua antica famiglia dovette a questo nome la sua fortuna; i “Bourbeux” vollero chiamarsi Borboni e i Caraglio assumerebbero certo un altro nome se andassero ad abitare in Portogallo. Io compiango il re Poniatowski che, credo, rinunciando alla corona e al nome regale avrà anche rinunciato al nome d’Augusto che si attribuì salendo al trono. Solo i Colleoni di Bergamo sarebbero imbarazzati a mutar nome, perché avendo le ghiandole della procreazione sullo stemma della loro antica famiglia, sarebbero costretti a rinunciare anche al medesimo a detrimento della gloria dell’eroico Bartolomeo.
GIACOMO CASANOVA – “Storia della mia vita”, (tomo secondo, capitolo decimo)

Annotazione: Questo brano dobbiamo supporlo letto anche dagli scrittori: Italo Svevo (Aron Ettore Schmitz), Malaparte (Kurt Erich Suckert), Aldo Pazzeschi (Aldo Giurlani), Alberto Moravia (Alberto Pincherle)?

DELLE VIE AMICALI

di Enzo Rossi-Ròiss

Si possono percorrere anche vie inconsuete e trasversali per raggiungere i luoghi nei quali promuoversi e affermarsi come “artisti”, utilizzando mezzi eterogenei, perfino anomali e occasionali una-tantum. Siccome ognuna di queste “vie” è priva di segnaletica ad hoc e servizi di assistenza adeguata o specifica, però, è opportuno accompagnarsi a chi è dotato di esperienza e conoscenza per il soccorso, in caso di bisogno, e per la segnalazione della direzione giusta ad ogni incrocio con altre vie trasversali, fino all’incrocio con la via principale. Altrimenti si percorrono tratti di strada che imprevedibilmente risultano interrotti e obbligano a tornare al punto d’incrocio: causando ritardi, scoramenti, dispendio di energie e risorse. Tra le vie inconsuete e trasversali, quelle più a rischio e ingannevoli, sono le vie “amicali”, i cui tracciati si snodano nel microcosmo delle conoscenze personali, lastricati di volontarismo e di buone intenzioni soltanto. A nessuna di tali “vie” è garantita la possibilità di svolta sulla via principale, perché, quando raggiungono il suo incrocio, il loro traffico può essere deviato e disperso su altre vie per le cause più disparate. Il traffico sulla via principale è disciplinato da regole e convenzioni il cui rispetto è controllato in modo intransigente. Le deroghe sono concesse eccezionalmente soltanto per soddisfare i “desiderata” di “addetti” relazionati e accreditati. Chi proviene da una via trasversale è soggetto a controlli più rigidi e frequenti, perché desta sospetti d’irregolarità: particolarmente se risulta avallato da “non addetti” possidenti di tutt’altro sapere e in rapporto superficiale con l’artisticità e gli artisti. Sentenza finale: L’amicalità ha le gambe corte, non può eccellere negli esercizi di salto in alto, tanto meno negli esercizi di salto triplo o in lungo.

 

DI OGNI “CREATIVO” IRREALIZZATO

di Enzo Rossi-Ròiss

Di ogni “creativo” irrealizzato è possibile pensare e scrivere che: A) gli è mancata e continua a mancargli la lettura di alcuni “libri totali”; B) gli è mancata e continua a mancargli, nel principio di ogni giornata, la lettura di un giornale quotidiano “di prima lettura” (cosiddetta!); C) gli è mancata la conoscenza “de visu” di opere d’arte alle quali si è rapportato e continua a rapportarsi esaminando le loro riproduzioni in libri e magazines; D) gli è mancato il coraggio di rischiare il tutto-per-tutto, di agire all’insegna del costi-quel-che-costi, di eleggersi “costante” interagendo con “varianti” intercambiabili, di essere autore referente e protagonista di eventi biografanti il proprio vissuto e quello altrui…facendo la differenza. E’ sempre stata minima la spesa personale del “creativo” irrealizzato: 1) per acquistare libri, giornali, biglietti per viaggiare e visitare musei; 2) per essere presente là dove si sono attivati o si attivano “creativi” realizzati; 3) per acquisire conoscenza e conoscenze; 4) per incontrare e frequentare organizzatori e produttori di eventi culturali eccellenti. Perciò le sue “intenzioni” non sono divenute “azioni”, né si sono concretizzate in “opere”. Perciò le disavventure della esistenzialità quotidiana lo hanno disagiato e caratterializzato con censure e convenzioni. Della Patafisica e dell’OuLiPo ha appreso soltanto quel poco che si può apprendere leggendo il poco che ha letto. Non ha letto tutte le opere di Alfred Jarry. Non ha letto alcunchè degli Autori che hanno concepito e allevato l’OuLiPo sodali di Raymond Queneau. Disquisendo di e su Gaudi, per esempio, senza avere mai guardato da vicino né toccato le sue costruzioni, né aver mai deambulato nei loro spazi a Barcellona, né essersi mai comparato fisicamente ai loro volumi, interagendo con le loro bizzarrie. Simulacrizzando comportamenti, poetiche, opere.

 

 

DELLA FERTILITA’ E DELLA STERILITA’ PORTATA
SANAMENTE O INSANAMENTE DAI “CV” DEGLI ARTISTI

di Enzo Rossi-Ròiss

Il CV di un pittore è costituito dalle mostre personali e collettive elencate cronologicamente, dopo i dati biografici con informazioni precise relative alla sua formazione scolastica, prima dell’elenco dei premi conseguiti, dei concorsi vinti, dei collezionisti pubblici e privati acquisiti, e dei critici d’arte (compresi scrittori e giornalisti noti) che lo hanno già presentato o notiziato favorevolmente. Tale CV ha caratteristiche professionali, quando risulta scritto (redatto selezionando “dati” significativi) da una persona diversa dall’Artista curriculato: una persona in dimestichezza con la buona scrittura, addetta ai lavori della organizzazione e promozione artistica, provvista di una adeguata conoscenza specifica e conoscenze influenti personali. Ha, invece, caratteristiche dilettantesche e autarchiche, quando risulta scritto (compilato) dall’Artista autonomamente, che tutto elenca pignolescamente e indiscriminatamente della propria attività espositiva, con informazioni reticenti e approssimative per quanto riguarda la propria formazione scolastica, e la bibliografia prevalentemente giornalistica, più che critica, che lo ha supportato, scrivendo: “E’ presente in numerose collezioni pubbliche e private in patria e all’estero – Delle sue opere hanno scritto i critici d’arte più importanti – Ha conseguito numerosi premi…eccetera”. Con indirizzo postale, e-mail, numeri telefonici personali, e illustrazioni fotografiche che lo iconizzano in compagnia di Personalità illustri, avvicinate una-tantum e mai più viste, che non ricordano d’averlo incontrato e ancor meno frequentato. Il CV professionale illustra e accredita le qualità di un Artista, protagonista di esposizioni molto visitate durante tutto il periodo espositivo, documentate da cataloghi e brochures editi in migliaia di esemplari, con testimonianze critiche d’autori “noti”, che hanno prodotto e producono plus-valore mercantile e arricchimento bibliografico. Il CV dilettantesco enfatizza le velleità di un Artista noto a se stesso e nel luogo in cui ha l’abitazione e l’atelier, protagonista di esposizioni autogestite e autopromosse, visitate da amici e parenti nel giorno del vernissage: esposizioni allestite in spazi succedanei o surroganti, non visitate dagli amatori, documentate da cataloghi e brochures editi ogni volta in poche centinaia di esemplari, con testimonianze critiche occasionali, marginali o amicali, e notiziate soltanto nelle pagine della cronaca locale. Il CV professionale merita di essere considerato, perciò, fertile e portatore sano di positività vita-natural-durante, perchè derivato da rapporti intrattenuti con mentalità artistica acculturata e civilizzata. Il CV dilettantesco merita di essere considerato, invece e conseguentemente, sterile e portatore malsano di negatività ab-aeterno, perchè derivato da rapporti intrattenuti con mentalità artisticamente rudimentale. Ai buoni intenditori non è necessario a questo punto leggere altre parole scritte.

DELLA SCRITTURA ASSESSORA
(dilettantesca e approssimata)

di Enzo Rossi-Ròiss

Considerando il proprio “ruolo” temporaneo ed effimero, gli Assessori dovrebbero esimersi dal compiere “esercizi scrittòrii”, ignorando Raymond Queneau e surrogando attività che ad Altri spetta esplicare con competenza: dovrebbero rinunciare a produrre testi destinati ad essere pubblicati come Presentazioni in cataloghi di mostre d’arte e Prefazioni in libri di narrativa o poesia. Soprattutto gli Assessori provvisti soltanto di cultura popolare (talvolta popolaresca), dotati (perciò) soltanto di “sapere” raffazzonato già divulgato: inadatti a intrattenere con destrezza rapporti ravvicinati e fertili con la scrittura “colta” e la creatività talentata, che abbisognano di conoscenza specifica, talvolta condivise anche intimamente, per essere decriptate. Molti cataloghi di mostre d’arte e molti libri di scrittori e poeti, così, non risulterebbero deturpati dalla “presenza d’ufficio” dei loro testi dilettanteschi, mediocri, estranei ed estemporanei: connotati dalla approssimazione, dall’autodidattismo, dal velleitarismo,dal pressappochismo e dall’orecchiantismo. Sicuramente tali Assessori, scrittori occasionali e dilettanti allo sbaraglio, con la data di scadenza prefissata come per lo yogurt e l’età fertile delle donne, vanagloriosi veniali, sono persuasi a far ciò, di volta in volta, dalle attenzioni civettuole, giullaresche e mirate di scrittori/scrittrici e artisti/artiste self-promoter, senza fissa dimora editoriale e mercantile. Sicuramente è possibile supporli narcisi casarecci, usi a compiacere e compiacersi, mirando e mirandosi in specchi sorretti da membra, d’ambo i sessi, vassalle e cortigiane. Volgarizzatori succedanei di una cultura già volgarizzata, costituita da letture frettolose e superficiali. Tanto che possiamo considerarli tutti componenti del Gruppo Umano dei Desublimati, narrato da Alberto Moravia in “Io e Lui”, contrario e contrapposto al Gruppo Umano dei Sublimati: il Desublimato sta al Sublimato come la pentola di coccio a una pentola di ferro. Tanto che possiamo immaginarli tutti maldestri nell’uso del Pensiero Laterale, concepito e divulgato da Edward De Bono: il pensiero complementare (talvolta risolutore) del Pensiero Verticale. Scrivo ciò indignato per l’attività scrittòria dilettantesca dei tanti Assessori che si accompagnano irresponsabilmente, come corpi estranei ingombranti e inquinanti, a scrittori/scrittrici e artisti/artiste, ruolandosi inopportunamente “prefatori” o “presentatori”: inconsapevoli della “rottamazione” alla quale sono destinati i loro testi, scaduto il mandato politico e depotenziati come Autori. Sia discriminata, perciò, la scrittura assessora, vera e propria paccottiglia lessicale, e sia smaltita come spazzatura bibliografica.

 

 

DEL CRITICO D’ARTE “PRESENTATORE”

di Enzo Rossi-Ròiss

Leggere i testi (maschili e femminili) che corredano certi cataloghi di mostre collettive d’arte contemporanea, cosiddette “a rete” con griglie-guida teorizzanti, è come leggere le memorie di pornografi/e onanisti/e con l’intenzione di apprendere come manipolare il corpo di una donna o uomo giovane stesa/o sul letto a noi accanto, nuda/o e vogliosa/o per prepararla/o all’orgasmo e farglielo poi conseguire in contemporanea copulando.
Non si apprende alcunchè di utile per la cosiddetta “bisogna”, poiché si legge soltanto della manipolazione sapiente dei propri organi (del proprio sapere), fantasticando rapporti ravvicinati e privilegiati di ogni tipo con partner sessuali altrimenti inavvicinabili (con altro sapere non ancora assimilato ed elaborato).
Ciò va scritto (anche se più corretto sarebbe scrivere “dovrebbe essere scritto”), perché non si vengano a incrociare (anche se più corretto sarebbe scrivere “non si incrocino”) i nostri atti di sfiducia nei testi di certi critici d’arte con atti di fiducia d’altri autori a noi tutt’altro che simbiotici.
Ai critici d’arte spettano ruoli secondari, in ogni caso e occasione. Non siano attribuiti loro, quindi, ruoli primari, neanche quando concepiscono e realizzano mostre d’arte collettive “tematizzate” e “titolate” che alla resa dei conti si rivelano messinscene dei loro esercizi scrittòrii.
Le opere esposte in tali mostre ci risultano, infatti, oggetti materiali utilizzati per dare visibilità e significato a cosiddette esposizioni o installazioni che possono significare anche “altro”, poiché ci risultano interscambiabili con esposizioni o installazioni di altre expo messinscenate diversamente “tematizzate” già allestite altrove da altri.
Al genius loci della critica d’arte, occasionalmente nel loco natio oppure in trasferta (in loco diverso dal residenziale) nel ruolo di curatore di una mostra micro-evento territoriale, non sia consentito d’infierire sull’uditorio eterogeneo e raffazzonato per il vernissage, straparlando dell’iniziativa che lo ha ruolato curatore/esegeta e non gli sia consentito di enfatizzarla ad libitum per autogratificarsi privo di contraddittorio.
Per tutelare la buona fede dei presenti, che in questi casi sono quasi in ogni occasione poche decine, compresi alcuni adolescenti, gli artisti autori delle opere esposte e una lettrice ispirata che “dice” poesie personali, affiancandosi all’oratore con voce evanescente e partecipata.

 

DEL MUSEUM LOCI

di Enzo Rossi-Ròiss

Dicasi Museum Loci ogni museo d’arte moderna o contemporanea allocato in edificio sito in luogo abitato decentrato o periferico, marginalizzato e marginalizzante, abitato stabilmente da pochi e visitato occasionalmente da altri pochi in rapporti di parentela o d’amicizia con i residenti, poiché si può raggiungere se ci si reca “colà” soltanto di proposito, tanto sono scarsi gli accadimenti che possono attrarre nella sua locazione persone forestiere .
Dicasi Museum Loci ogni museo concepito e partorito dagli affaccendamenti para-artistici o para-culturali di un “nativo”, vanamente propostosi come “genius” in altri luoghi.
Dicasi Museum Loci ogni contenitore urbano uni o multimediale, animato e mantenuto attivo da un simil-genius-loci autoruolatosi “Direttore” (o promoter/curator) con l’incarico autoassunto di dispensare favori espositivi e propiziare attenzioni massmediatiche a creativi corifei compiacenti e compiaciuti incontrati percorrendo via amicali.
Dicasi Museum Loci ogni rocca centenaria, palazzo gentilizio, reperto urbano sottratto al degrado, spazio pubblico usato ad hoc, sede di esposizioni artistiche permanenti e/o periodiche, calendarizzate municipalisticamente ad usum delphini privilegiatum.
Dicasi Museum Loci ogni luogo pubblico o privato la cui attività espositiva e conservativa dà visibilità a operatori para-culturali o para-artistici altrimenti invisibili.
Dicasi Museum Loci ogni museo di paese visitato soprattutto dai paesani, la cui esistenza è notiziata di tanto in tanto acriticamente da cronisti locali enfatizzatori del localismo.
Dicasi Museum Loci ogni istituzione museale governata pro-Ego nativo nel villaggio natale.

 

 

DI HERMAN HESSE PITTORE

di Enzo Rossi-Ròiss

La visualità di chi scrive continua a intrigarmi e mi attrae quando assume il ruolo di luce verso la quale precipitarmi come falena. Ogni mostra d’arte allestita con opere firmate da scrittori o poeti, mi annovera, perciò, tra i visitatori più solleciti e attenti, stimolandomi a riflettere criticamente sul perché lo scrittore o il poeta in esposizione ha anche dipinto, disegnato, inciso,modellato, assemblato, etc. E ogni volta, per ogni mostra di scrittore o poeta, esprimo giudizi, prescindendo dalla fama dell’autore e dalle riverenze che gli sono dovute per i suoi libri.
Herman Hesse non mi ha incusso alcuna soggezione quando sono stati esposti i suoi disegni e acquerelli in più città italiane dalla Fondazione Mazzotta di Milano.”Siddharta” lo hanno letto e continuano a leggerlo, tradotto in ogni lingua, milioni di persone. Il Premio Nobel se lo è meritato più di altri scrittori insigniti con lo stesso Premio. I suoi acquerelli, però, non destano stupori inconsueti, né meritano attenzioni eccessive. La rispettosità è loro dovuta soltanto se considerati reperti biografanti: niente di più niente di meno. Herman Hesse ha disegnato e acquerellato anziché fotografare, per ritrarre luoghi nei quali ha abitato, vissuto o semplicemente soggiornato per molti o pochi giorni. E lo ha fatto per diarizzare e diarizzarsi visivamente, con fedeltà al modello e con scrupoli illustrativi al limite della elementarietà.
Nelle esposizioni organizzate dalla Fondazione Mazzotta, ho visionato 80 acquerelli datati 1919-1939: durante un ventennio del Sec. XX, quindi: durante lo stesso ventennio nel corso del quale il Dadaismo e il Surrealismo hanno scardinato definitivamente il recinto all’interno del quale in precedenza è stata coltivata l’arte visiva, dotandola di pertinenze estetiche e valenze artistiche materiali eterogenee, con figurazioni stravaganti e paradossali.
Negli acquerelli di Herman Hesse non vi è traccia del rinnovamento artistico in atto coevo, neanche come citazione o allusione erudita. Sono opere eseguite en-plein-air da un signore anziano di professione scrittore, in vacanza, durante giornate caratterizzate dal bel tempo che gli ha consentito di trascorrere all’aria aperta le pause tra un impegno scrittòrio e l’altro.

 

 

DELLE ESPOSIZIONI D’ARTE TITOLATE PACKAGING PER IL TRASPORTO E IL CONSUMO DI ESERCIZI DI SCRITTURA CRITICA GREGARIA

di Enzo Rossi-Ròiss

DESTINATI ALTRIMENTI A STAZIONARE INEDITI NEI CASSETTI AUTORALI DI CREATIVI SUCCEDANEI: Con altri occhi – L’esperienza – Divenire delle arti – Metafore e trasparenze – Le immagini della fantasia – Conversazioni con il tempo – Suono / Forma / Immagine – Video cocktail – Connessioni leggendarie – Nuove genealogie – Nuovi segnali – Tra ragione e istinto – Lo specchio dell’io – Il palcoscenico dell’esistenza – C’era una volta l’URSS – L’eros degli artisti – Surrealisticamente vostri! – Mirabilia Fiunt. Il cappello e la creatività – Il giardino dei sogni – Il signor Novecento in Mostra – Il soffio dell’infinito – Segreti e Bugie – La ricerca dell’oltre – La vita tra eros e agape – Eroismo Erotismo – Rifiuti preziosi – La voce del mistero – Angeli e Androidi – Piccole storie quotidiane – Dal segno al sogno – Il palio e l’arte – L’Artista, il Maestro e Margherita – Il sole, la luna e la teoria degli opposti. Date le “titolazioni” sopraelencate, organizzare e presentare esposizioni con opere d’artisti contemporanei “disponibili” (e collaboranti), le più facilmente acquisibili, purchè “in tema” (anche approssimativamente), allestibili ovunque, occupando spazi pubblici e privati, siano essi primari o secondari, centrali o periferici, stabili oppure precari: senza discriminare il succedaneo e il gregariato, l’eclettismo e il velleitarismo. Emulando tutti coloro (d’ambo i sessi) che curriculano curatele artistiche personali (per es.) come il toscano Maurizio Vanni, critico d’arte originario di Follonica in carriera convenientemente “assessorato”, gestore e presentatore di mostre d’arte “tematizzate”, allestite con opere di artisti amicalizzati (alcuni facebookamiciziati…anche!) con casa e atelier (qualcuno anche con Fondazione selffondata!) in territorio toscano, supportato da referenze politiche toscane. Così ( e ciò) facendo sarà possibile darsi visibilità massmediatica e pubblicare, nei vari cataloghi esercizi personali di scrittura (tesi o tesine, saggi e saggetti, letteratureggiando e digressionando ad libitum) destinati altrimenti a stazionare inediti nei propri cassetti autorali. Titolando: FreschGlass – Dreaming – Cose mai viste – Solo al buio – Senza rete – Mediterranea –Miraggi – 8 al verde – Videoit 2009 – Drill downoo 2 – Art & The City – Concavi e convessi –Videonale 12 – La capra di Tecla – Il segno della storia – La magnifica visione – Homecoming – Mari e moli…etc. etc.

 

DELLA PITTRICE FICOFORA NON ANCORA ANTAIZZATA

di Enzo Rossi-Ròiss

Durante ogni festa in case private, la pittrice ficofora in età non ancora antaizzata, è presenza e arredo sexy, più che presenza e arredo artistico: sollecita convenzionalità e banalità, stimola curiosità che non hanno niente a che fare con la sua creatività. Ai suoi nuovi interlocutori non interessa la sua interiorità, ma la sua sessualità. Il desiderio di approfondire la sua intelligenza è fagocitato dal desiderio d’introdurre il fallo nella sua vagina e di abbracciarla nuda per coniugare in latino i verbi pedicare e inrumare. L’approssimazione e la superficialità connotano ogni discorso relativo ai suoi dipinti.
Se la pittrice ficofora esibisce i cataloghi che illustrano le sue esposizioni, molti uomini li sfogliano come album di figurine: ignorando i testi e guardando frettolosamente le immagini. Tutti le spalancano soltanto le porte del proprio immaginario erotico: ogni altro accesso alla privacy personale gliel’ostacolano, prudentemente, rinviando confidenze ulteriori all’incontro successivo. Dopo ogni festa in case private, ogni nuovo conosciuto cita la pittrice ficofora come suscitatrice di desideri sessuali, più che come artista meritevole di attenzioni e considerazioni. E’ ficofora e nient’altro che ficofora la giovane artista piacente che si propone alle attenzioni di collezionisti, critici d’arte, galleristi e amatori varii, abbigliata da aderenze totali o parziali che scolpiscono o evidenziano le sue rotondità naturali e artificiali.
Mi è stato raccontato di una giovane pittrice, potenziata e sovradimenzionata in primis da un uomo col quale ha realizzato un rapporto di coppia artistica e sessuale, totale e totalizzante, destinato a rivelarsi ineguagliabile. Da ogni altro uomo, la stessa pittrice, sarà occasionalmente potenziata e sovradimensionata soltanto come ficofora, con l’intenzione malcelata di realizzare, prima o poi, un rapporto ficale. Desterà interesse e sarà ambita, perciò, soltanto come ficofora: fino a che non risulterà indiscutibilmente antaizzata. L’essere anche artista sarà sempre più un optional, che la distinguerà da altre ficofore e giustificherà il pagamento di alcuni “costi” aggiunti, per certi suoi “consumi” voluttuari alla Osteria del Gambero Rosso.
In rapporto di coppia “totale” con l’uomo autore del suo potenziamento e sovradimensionamento artistico primigenio, in ogni luogo e circostanza, tale pittrice ha condiviso conversari dotti e conoscenze intellettuali divenute, poi, con profitto, relazioni sue personali. In rapporto di coppia con ogni altro uomo, in ogni luogo e circostanza, è destinata a condividere soltanto conversari effimeri vulgati, vivande saporose e liete libagioni abbondanti, con qualche scopata conclusiva doverosa, frettolosa, strategica, finalizzata, o semplicemente riconoscente.
Tutto ciò mi è stato detto da tanti ammiratori di pittrici in età non ancora antaizzata, ficofore full-time, velleitarie talentate quanto può bastare. Mi è stato detto da uomini di ogni età, refrattari all’artisticità, chaperons vacanzieri cicisbei e ufficiali pagatori pinocchieschi di consumi all’Osteria del Gambero Rosso. Dicendomi, nella stessa occasione, del sotterramento con poco profitto di zecchini d’oro nel Campo dei Miracoli, mirato a fare allargare le gambe a pittrici ficofore: interessate a darsi redditività e visibilità artistica con opportune relazioni pubbliche e private (anche clandestine eventualmente!) a prescindere dalla redditività intellettuale del partner di turno.

DI UN DIVERSAMENTE INTELLETTUALE A PALERMO REDDITATO DALLA MESCITA DI RUM & PERA

di Enzo Rossi-Ròiss

Ha refusi dentro bisognosi di correzioni e parole conficcate in gola da inghiottire, oppure espellere. Ha i suoi pensieri, come ognuno ha i propri. Si reddita mescendo rum miscellato con succo di pera, sospeso tra silenzio e frastuono, chiedendosi che fine abbia fatto Godot, stremato spesso dalla stupidità altrui e da se stesso, in una location palermitana, decorata con bottiglie parietate in fila indiana orizzontalmente, pochi libri scaffalati d’autori editi dalla piccola editoria indipendente, tra i quali suppongo assenti Francois Rabelais, Laurence Sterne, Charles Cros, Alfred Jarry, E.E.Cummings e Jean Tardieu (per es.). Una location autoreferenziale, punto d’incontro e confronto, dove si aggruppano svariate inadeguatezze esistenziali di siciliani/e nati/e durante gli anni 70 desideranti protagonismi stupefacenti, coinvolgendolo a dare audience a conversazioni, apparentemente brillanti, che non lo interessano granchè talvolta, annoiandolo perfino. Facebookiconizzato dalle fotocamere di creativi/e con pretese artistiche, documentaristi/e di un microcosmo amicale agguanciato, accosciato, ammiccante e sorridente con sguardi ebbri che si ammucchiano ristretti negli obiettivi che li circoscrivono come al di là delle superfici trasparenti degli oblò.

E’ nato nel 1973 a Palermo, nomato Dario e cognomato Ricciardo, somaticato come un nordeuropeo, col vizio assurdo della scrittura e della lettura che lo inquietano full-time ,già ruolato autore di una prima antologia di racconti brevi editati recentemente col titolo “Ragioniamo per assurdo” (Giulio Perrone Editore), facebookrieditati come “Note”. Nella sua città natale si è formato come businessman compiendo studi relativi all’intraprenditoria e alla direzione aziendale griffata ISIDA. Destinandosi, così, a fondare e gestire una “boite de nuit”, nomata “Cavù” (termine aeronautico che significa “visibilità illimitata”), dove si aggruppano habitues d’ambo i sessi per darsi ebbrezza disinibitoria bevendo rum mescolato al succo di pera, con altri drinks. Tutti in età posizionata al di qua e al di là del ”mezzo del cammin” poetato da Dante, diversamente alti/e, diversamente snelli/e & belli/e, diversamente cromocriniti/e, diversamente attraenti/e, diversamente affetti/e da singletudine (in alcuni/e conclamata), diversamente disagiati/e dal conto alla rovescia degli anni che li/e separano dal festeggiamento del primo genetliaco antaizzato, il cui profilo è già distinguibile sulla linea di un orizzonte che si appropinqua anziché allontanarsi.

 

DELLA PAROLA CAZZO FACEBOOKATA DA UNA GIOVANE PITTRICE INCAZZATA NEI MOMENTI IN CUI RISULTA FICOFORA DECENTRATA

di Enzo Rossi-Ròiss

Sono tanti i giovani pittori in carriera che, trascorrendo gli anni, si fanno registrare dalle cronache artistiche sempre meno presenti e operativi. Fino a scomparire dispersi nel labirinto della esistenzialità nella quale si aggirano procacciandosi il pane quotidiano (anche il companatico, in alcuni casi): con i proventi che derivano loro dall’attività di insegnanti nelle scuole pubbliche, oppure da altra attività lavorativa, sprovvisti del filo arianneo per condursi all’uscita.
Sono tanti i pittori ex giovani in carriera che, trascorrendo gli anni, meditano un ritorno nell’arengo espositivo continuando a mantenersi operativi nel proprio atelier, pur tra millanta difficoltà esistenziali: senza mai decidersi a proporsi a critici d’arte e galleristi, scoraggiati da possibili dinieghi o disattenzioni intollerabili.
Ognuno di noi può inventariare un certo numero di tali ex pittori giovani in carriera, identificandoli nel proprio luogo di residenza e lavoro, tra i coetanei: se alla pittura e ai pittori abbiamo dato e continuiamo a dare risorse e attenzioni (oltre che contributi creativi) personali.
Ognuno di noi può redigere un elenco di pittori giovani in carriera coetanei desaparecidos che, al loro apparire nelle gallerie d’arte, furono notiziati come talenti artistici e garantiti come valori economici.
Chi merita, tra questi pittori, di essere essere condotto fuori dal labirinto in cui soggiorna misconosciuto e obbligato da lungo tempo?
Chi merita di essere proposto ed esposto, perché della sua creatività tornino a occuparsi gli studiosi del settore e perché gli operatori del mercato d’arte lo accreditino come investimento economico responsabilmente?
Merita ciò soltanto chi ha continuato a dipingere iconizzando la propria interiorità: personalizzando sempre più la tavolozza e gli stilemi che la connotano sulla tela.
Merita ciò chi ha continuato a esprimere pittura “poeticamente”, sia pure in soggiorno obbligato nel labirinto esistenziale che lo ha costretto a farsi registrare assente per lungo tempo.
Un caso eblematico, meritevole di essere esaminato e segnalato, è possibibile considerarlo costituito da Gianfranco Trucchia, desaparecidos come pittore durante molti anni, allorchè nel dicembre 1992, fu proposto dal Centro Nucleo Arte a Bologna, protagonista 53enne inconsapevole di un evento espositivo destinato a non essere replicato vita natural durante, causa la sua morte prematura nel febbraio 1994.

Nato a Bologna nel 1939, nella stessa città il Trucchia ha studiato diplomandosi all’Istituto Statale d’Arte. Poi è stato un giovane pittore e insegnante in carriera fino al 1972, docente all’Istituto Statale d’Arte Ceramica “F. A. Grue” di Castelli /Teramo.
Vincitore di un Premio Diomira nel 1966 a Milano, è stato presentato in catalogo nello stesso anno da Giancarlo Politi di Flash Art, in occasione della mostra allestita negli spazi della Galleria l’Incontro a Pescara, patrocinata dall’Ente Provinciale Turismo di Teramo.
Giorgio Kaisserlian, Renzo Margonari, Luigi Lambertini, Filiberto Menna, Franco Russoli, Cesare Vivaldi hanno scritto della sua pittura dopo aver visitato le sue esposizioni a Bologna (Galleria Duemila), Modena (Galleria Comunale), Roma (Galleria Il Cerchio), Napoli (Galleria S. Carlo), Verona (Galleria Ferrari), Venezia (Galleria De’ Gritti).
A Bologna ha vissuto in prima linea il “Presente Contestato” di una generazione in conflitto che ha avuto in Franco Solmi il suo organizzatore ed esegeta: un “Presente” irrequieto, sponsorizzato dalle Istituzioni Cittadine senza molto profitto per sé e per l’arte contemporanea.
Nel labirinto della esistenzialità, senza il filo per condursi all’uscita, è entrato allorchè ha considerata terminata la stagione della contestazione possibile, attivandosi come creativo in uno studio di grafico/pubblicitario, reso inquieto da conflitti interiori irrisolvibili. Attivo contemporaneamente anche come pittore e scultore “in e pro domo sua” vagheggiando innamoramenti ineffabili, “usando il colore e mettendo parole” (ipse dixit!).
Poetando:
E’ dal buco che nascono le parole / inchiodate nel velluto del tempo / circonsico nel master di un sogno.
Fino al ritorno in pubblico nella sua città natale con l’expo nel Centro Nucleo Arte intitolata “Streghe e Stregati”, per esporsi e proporsi in uno stazio atipico come artista interprete della contemporaneità: dopo una esposizione estiva anticipata nello spazio verde del Museo Alternativo “Remo Brindisi” al Lido di Spina /Ferrara, intitolata “Favole e Falsi”.
Gianfranco Trucchia l’ho incontrato e conosciuto casualmente. D’istinto l’ho determinato a dipingere le opere che sono state esposte, poi, nel Centro Nucleo Arte: proposte alle attenzioni dei collezionisti come opere di un artista degno di riconoscimenti fertili. Considerandole opere di un artefice portatore di esperienze visive e introspettive elaborate sperimentando un recupero della pittura calda, “…oltre lo spazio magico e sempre intrigante del surrealismo”. Giudicando la sua arte un’arte del dipingere che, per arrivare alla sua conclusione, concede ospitalità a materiali “altri”, privilegiandoli perché la inglobino. Oppure un’arte del dipingere che, arrivata alla sua conclusione, ingloba materiali “altri” che non privilegia, ma ospita soltanto. Oppure, ancora, un’arte del dipingere che arrivando alla sua conclusione si falsifica inglobando materiali “altri” per interrompersi e dirottarsi incompiuta. A meno che l’artista non la contamini “intenzionalmente” con materiali “altri” eterogenei che la falsificano inquinandola, pur di ostacolare la sua conclusione.
Poetando:
Nel tagliacarte / di quel foglio nero / che volevo usare / il bottone slacciato / delle mie convinzioni.

Le opere concepite e realizzate per l’esposizione “terminale” negli spazi del Centro Nucleo Arte a Bologna mi confermano nell’opinione già espressa e divulgata nel dicembre 1992, allorchè scrissi che “…la favola sodomaso dell’arte postmoderna del dipingere che tanti materiali “altri” inglobano falsificandola, ha in Gianfranco Trucchia un suo mentore e cantore sensibile, e poetico, affascinato dal raffigurabile, attratto dai materiali “altri” ordinari, reperti di un vissuto quotidiano intrigante e inquietante.
Poetando:
Che sciocca bestia sei / segui pianure e non gli spigoli / persa nel bianco che non ti appartiene.