DE “LA RETORICA DELLE PUTTANE” SOVVERSIVA A VENEZIA

di Enzo Rossi-Ròiss
Ferrante Pallavicino nasce a Parma il 23 marzo 1615. Manifesta in età adolescenziale interessi per la lettura e per la scrittura. Veste l’abito talare nella casa della Passione a Milano, esclusiva di famiglie nobili e distinte. Concluso il ciclo di studi inferiori a Milano, dà inizio al ciclo di studi superiori optando per il modello scolastico tipico dei collegi della Compagnia di Gesù. Ottiene dal suo Superiore lombardo il permesso di recarsi in Francia, ma non vi si reca perché si è innamorato di una giovane veneziana: si reca, invece a Padova, dove scrive tante lettere ai conoscenti nelle quali si descrive in viaggio nelle varie province francesi, e un panegirico in lode della Serenissima, intitolato “Il sole ne’ pianeti” che gli vale la simpatia e la protezione del Senato veneto. Nel 1635 comincia a soggiornare stabilmente a Venezia “reina di tutte altre città”: perché è innamorato di una veneziana, ma anche per naturale inclinazione, per affinità elettiva. Poiché Venezia, in quel momento, gli risulta essere per eccellenza il luogo della libertà, violenta e beffarda avversaria di ciò che anche lui ha in odio più grande: Compagnia di Gesù, Spagna, Corte di Roma. A Venezia risiede presso il convento dei Canonici Lateranensi, detto della Carità, e per qualche anno indossa l’abito di tale ordine osservando formalmente la regola, intanto che intreccia relazioni con le prostitute, frequentando luoghi cittadini poco raccomandabili. Particolarmente l’Accademia degli Incogniti, fondata nel 1630 da Giovanni Francesco Loredan: un’accolita d’intellettuali irregolari di provata empietà, puntualmente indagata e segnalata dai compilatori dell’Indice dei libri maledetti e proibiti. Scrive libri che i librai commercializzano con grande profitto degli stampatori. Trascorre sedici mesi in Germania come cappellano del Duca d’Amalfi. Durante l’estate del 1641 torna a Venezia. Pubblica un libro/epistolario intitolato “Corriere svaligiato”. Monsignor Francesco Vitelli, Nunzio apostolico a Venezia, sostenuto dalla maggioranza del Senato cittadino, contende alla Corte di Roma il diritto di perseguirlo come autore di un libro “disdicevole”. E’perciò arrestato e incarcerato. Sei mesi dopo torna in libertà, senza essere stato processato. Il “Corriere svaligiato”, però, è proibito nell’intero stato veneto. Dal marzo 1642 comincia a vivere nell’angoscia, causata dalla persecuzione sempre più tenace concordata dai suoi detrattori Francesco Vitelli e Francesco Barberini. Abbandona per due volte la sua residenza nel convento, rifugiandosi presso l’amico Giovan Francesco Loredan. Durante il mese di giugno abbandona Venezia, continuando a scrivere testi velenosi e irriverenti contro il Nunzio apostolico, il Pontefice e la Corte di Roma. Gli sono attribuiti due libri intitolati “Baccinata” e “La retorica delle puttane”, entrambi stampati alla macchia, considerati pregni di virulenta satira antibarberiniana e antigesuitica, e perciò meritevoli di essere inquisiti. Scappa in Francia, dove un falso amico facilita il suo arresto ad Avignone. E’ consegnato all’Autorità ecclesiastica del luogo francese nel gennaio 1643 che lo processa e lo condanna a morte per “lesa maestà divina e umana”. E’ decapitato nella piazza antistante il Palazzo dei Papi il 5 marzo 1544, non ancora ventinovenne, “unico libertino italiano a meritarsi il patibolo dei papi”. Considero alcuni suoi testi meritevoli di lettori miei contemporanei, concordando con Laura Coci che ha scritto: “Un autore come questo merita di trovare ospitalità in una collana di classici della letteratura, in quanto è un vero classico della controletteratura”.