Premio Livre de Merdre

“De Fellationis Historia et de sua influxione apud antiquas comitates”
PRESENTA… PREFA… INTRODU… ZIONE
(fellasio’ esegetica ad hoc, pubblicata da I Antichi Editori Venezia 2007)
di Enzo Rossi-Ròiss
 
Ansimando, e piano mugolando,
succhiava curva,
come succhiano la birra i Traci
attaccati alla cannuccia.
(Archiloco di Paro 680-645 a.C. “La succhiatrice”)
 
“De Fellationis Historia et de sua influxione apud antiquas comitates” di Antonio Fabi, nato e residente a Urbino, iperluogo artistico e poetico da secoli, tratta del “pompino” (penilingus, auparishtaka, flauto di giada, coitus ab ore, amplesso nella bocca, manipulatio cum lingua, bocchino et altrimenti detto e scritto), rapporto sessuale dell’uomo. con la seconda e più tenera bocca (così definita da un poeta della modernità occidentale!) di donne esperte nei…”lavori di lingua”. Come Pedrosa la “grand nalguda” (largamente naticuta) e Ursula, rinomate entrambe per le loro qualità…”boccali”, narrate in lingua spagnola nel XV° secolo dall’autore de La Carjicomedia (La tragicommedia della spada). Come Angela la Greca che succhiava Ercole Rangone. Come Julia, Josepha e Marguerite, le tre piccole graziose succhiacazzi di via Gregorio di Tours, poetate da Apollinaire. Come le tante geishe del Giappone pre-industrializzato, cortigiane della categoria “oiran”, addestrate da “sorelle maggiori” anche con istruzioni scritte come nel brano che segue.
Se è morbido prendilo in bocca e succhialo come fa un vitello con il latte della madre. Fruga di sotto con la punta delle dita, cerca le prugne nel loro sacco. Solo quando sarà duro e rabbioso, la pelle tesa come la corda di un arco e la testa rossa palpitante come un pesce fuor d’acqua, allora puoi cominciare.
Lentamente, come se per te fosse una cosa deliziosa, metti in bocca la testa. Lecca le dolci lacrime di miele e, mentre affondi la bocca, alza lo sguardo e fissalo negli occhi. Oh, si, lui ti starà guardando. Dimentica le buone maniere della tavola, succhialo rumorosamente. Muovi su e giù il flauto di giada con ritmo insistente, stringendo il membro con le dita, se gli piace. Guardalo, fissalo negli occhi, tu sei la musicista in questa esibizione: vedi che cosa dà piacere al tuo pubblico. Per riposare la bocca estrai lo strumento di tanto in tanto, e ammiralo con occhi anelanti. E ogni volta riprendi con maggior impeto, finchè capisci che la fine e vicina. Oh, lo imparerai presto, vero? Tu sei la musicista. Una volta succhialo fino in fondo, lasciando sgorgare invisibile il fluido di fuoco: un’altra estendi la lingua rossa tra i denti di perla e lascia che le onde salmastre si infrangano sui ciottoli della tua lingua. Oh, si, inghiotti la spuma dell’oceano, altrimenti l’equilibrio (della natura) sarà disturbato. (Da “I segreti della geisha”, Sonzogno Editore, novembre 2001)
Il De Fellationis…etc., ha, perciò, per argomento la“fellatio” (la “irrumatio” versificata da Catullo, Marziale, Tibullo et poeti in sintonia). La “fellatio” tanto cantata e variamente descritta dagli artisti della scrittura poetica e letteraria, e variamente raffigurata da pittori e scultori in ogni epoca. L’accarezzamento orale che iperficoforizza il rapporto sessuale nel momento in cui il desiderio di godere in coppia muove all’unisono passi decisi e veloci senza inciampare. Mentulam pro digito comprimere jubebat. Ut refrigeresceret venereos ugnes, mentulam ore captam emulserat. La “fellatio” considerata rapporto sessuale peccaminoso, e perciò “frutto proibito”, dalla cultura giudaico-cristiana. La “fellatio” considerata “bacio erotico” preliminare dai cinesi studiosi del sesso, compreso Jeh Te-Hui, autore della massima raccolta di studi sull’argomento, intitolata Chung Mei Ching An Ts’ung Shu: leggendo la quale si apprende delle grandi cortigiane cinesi e della loro tecnica nel suonare il “flauto di giada” che consente, sia all’uomo che alla donna, di armonizzare Yin e Yang.
“Per eseguire una buona fellatio – si legge nel Tao dell’Amore (1972) di Jolan Chang (Chang Chung-Lan) – la donna deve imparare a rilassare la bocca. Se è tesa e rigida, infatti, può non essere in grado di usare opportunamente le labbra e ferire lo yu hèng con i denti, invece che bere da esso. Raramente o mai gli uomini amano sentirsi addentare il fallo… nemmeno per scherzo”.
La “fellatio” è poco raffigurata, però, nelle opere dell’arte erotica cinese, perché considerata inopportuna per un buon governo e controllo taoista dell’eiaculazione: “…poiché pochi uomini sanno resistere all’azione della lingua, seguita dalla profonda e morbida suzione del fallo” (Jolan Chiang, op.cit.). E’ ben raffigurata (scolpita) con un candore primitivo in India, invece, sulle facciate dei templi editificati a Khajuraho (sec.X-XI) nelle piane assetate del Nord, e Konorak (sec.XIII) sulle rive del golfo del Bengala: senza infingimenti, con una libertà scevra da ogni giudizio morale, non contaminata da inibizioni e complessi; rispettosa di convenzioni visive che non ci risultano ispirate da convenzioni morali; esaltazione di una sensualità diretta, immediata, sanguigna; esaltazione della giovinezza di donne carnose e goduriose, del piacere e della gioia di vivere, attraverso le forze misteriose dell’amore e le invenzioni artistiche della poesia.
Sculture, ceramiche, pitture egizie, cretesi, etrusche, greche, romane, indiane, peruviane ne danno eloquenti e incontestabili testimonianze, benchè si sia voluto attribuire l’invenzione dell’atto ai soli abitanti di Lesbo e della Fenicia.
Il De Fellationis Historia…etc. del Fabi, quindi, tratta della “fellatio” con eleganza e arguzia erudite, per provocare ilarità con levità di tocco, più che suscitare inopportune indignazioni e risentimenti. Trattando, anche, della “fellatio” sconsigliata e non praticata da chi la considera “infamia” o “scostumanza”, oggi come ieri e l’altro ieri. E della “fellatio” consigliata ed enfatizzata, invece, da chi la descrive come Anais Nin, suggerendo alla donna di:… leccare il pene con attenzione e passione, per incendiarlo con scintille di piacere che risalgano lungo il corpo dell’uomo, e di baciarlo ripetutamente chiudendolo tra le labbra come un frutto meraviglioso. Fino a che una gocciolina lattiginosa di una sostanza salata le si dissolverà nella bocca, preannunciando il desiderio mascolino di eiaculare incontinente e la solleciterà ad aumentare la pressione e i movimenti della lingua.
Parafrasando un brano del libro intitolato “Il delta di Venere”, opera notissima della scrittrice francese, tanto amica e sodale di Henry Miller, è possibile scrivere – a questo punto – il brano che segue, presupponendo come lettrici tutte le donne disinibite e fellatiose (come l’americana Monica Levinski nella sala presidenziale di Bill Clinton): “… inginocchiati davanti a un uomo, sbottonagli i pantaloni, prendi il suo pene tra le mani e, con delicatezza di tocco, perizia e leggerezza che poche donne hanno, succhiaglielo fino a che non ti risulterà soddisfatto. Le tue mani siano attive quanto la bocca. La titillazione delle tue dita lo faccia svenire dal piacere, eventualmente. L’elasticità delle tue mani, la varietà dei ritmi, il cambiamento dalla presa salda sull’intero pene, il tocco lieve sulla punta, il massaggio fermo di tutte le parti, il leggero solletichio intorno ai peli, manifestino costantemente voluttuosità. Vedere il proprio pene entrare nella tua bocca, tra il balenio dei tuoi denti, mentre i tuoi seni ballonzeranno, darà all’uomo un piacere per il quale ti parlerà dicendo: “Sei la mia prima donna, la mia prima donna, la mia prima vera donna !!!”. Oppure ti dirà, riassumendo alcuni versi di Apollinaire: “Le tue labbra mordano il mio flauto come prugna di luglio”. Condiscilo poi di saliva pulsante nella tua bocca vorace.
 
L’olandese Robert H.van Gulik, diplomatico e scrittore, ha tradotto dal cinese e divulgato nel 1951 (editandolo a Tokyo) un saggio, intitolato “Sexual Life in Anciente China”, che ha per argomento l’antica arte cinese dell’amore (o dell’alcova), nel quale la fellatio, è consigliata soltanto come carezza preliminare all’unione sessuale vera e propria, praticata dalla donna senza provocare l’eiaculazione dell’uomo, poiché: “…la piccola perdita di essenza yang subita dall’uomo per via delle secrezioni emesse dal suo membro durante tale pratica sarebbe compensata dall’essenza yin assorbita da questo stesso membro attraverso la saliva della donna che la esegue”. (Fang-Pi-Shu, Ed. Mediterranee, Roma).
Comme apèro tu prends du foutre / C’est meilleur que le Raphael / Telle une enfant du Bramapoutre / Suce au hasard un vit tel quel / Selon les lois du Kama Sutra : si può leggere in una delle Cartes Postales ( intitolata Marie-Antoinette) di Apollinaire (1880-1918).
“Prendete con modestia l’uccello in bocca, abbassando gli occhi. Succhiate lentamente. Tenete discosti i denti per non mordere e serrate bene le labbra per non sbavare”, ha scritto Pierre Louys nel suo “Manuel de Civiltè pour les petites filles à l’usage des Maisons d’education”, pubblicato postumo nel 1928. Dove si legge anche: “Gli uomini si prendono mettendo loro un pizzico di sale sulla coda, e poi succhiandola fin quando il sale non sia sciolto”.
Il romanzo intitolato “La confession anonyme” (Paris 1960), d’autore sconosciuto (presumibilmente donna) è ben considerato perché tratta con un certo stile letterario della fellatio e des fellatores.
In “Histoire d’O” di Pauline Rèage è possibile leggere che la fellatio è “…la più umile delle carezze, la più bella anche, quando non è la più ignobile, quella in cui si annullano misticamente i contrari, quella in cui la vergogna si conclude e, con il capovolgimento proprio delle cose sacre, si trasforma improvvisamente in suprema venerazione”.
 
Antonio Fabi ha scritto il suo poemetto per storicizzare la “fellatio”, proto-bibliografandola con la riproduzione di una tavoletta del Regno di Ebla, e supponendola originata accidentalmente da un uomo preistorico nel momento dei preliminari: “…lei accostava dappertutto il naso, / secondo riti più che millenari; / egli, ad un tratto, si sente pervaso / da dolci brividi fino ai calzari, / talchè, appena l’uccello ella gli tocca, / lui con destrezza glielo infila in bocca”. (Canto Primo). Indagandola nei “Canti” successivi (fino al Decimo) per riferirla praticata e goduta da Iside e Osiride alle prese con l’uccello spennato Horus, da Dalila con Sansone per debilitarlo, da Betsabea col re David post Golia, dalla Regina di Saba col figlio di Salomone, da Pasifae con un toro mitico per gratitudine post coitum soddisfacente, da una intraprendente etrusca con Remo gemello di Romolo, da Ginevra con Lancillotto e da altre fanfellatiose. In Mesopotamia, Egitto, Oriente (medio ed estremo), Creta, Grecia, Etruria, Persia, Territori Giudaici, Roma (arcaica e urbe moderna): “mirabibliografata” goliardicamente per i suoi numerosi e goduriosi “adepti” e “propagandisti”, in 111 ottave. Con personaggi, citazioni e accadimenti veri e verosimili, che riguardano Semiramide e l’asiatica Nixtasia, i faraoni Micerino e Tutmosis, Assurbanipal, Mohenjo Dario, Hammurabi, Sennacheribò.
E lo ha scritto privilegiando con giocosità l’uso della rima e della metrica, considerati artifici obsoleti dalla gran parte della poesia moderna e contemporanea. Autodisciplinandosi, per quanto riguarda la struttura, con restrizioni formali incompatibili con la scrittura di versi liberi, scevri da ogni regola: restrizioni assunte ignorando gli esercizi letterari post-patafisici di Georges Perec, Raimond Queneau, Francois Le Lionnais, Harry Mathews e degli altri scrittori del gruppo Ou.Li.Po (Laboratorio di Letteratura Potenziale – Op.Le.Po nella versione italiana): unico scrittore italiano adepto Italo Calvino.
Al “De fellationis istoria…” si accompagnano le “Rime eroticomiche” scritte con modernità di atteggiamenti e chiaroscuri, conseguenti allo studio imitativo dei classici e all’osservanza di schemi metrici congeniali. In alcuni di questi testi non mancano le note autobiografiche dissimulate ed esplicitate con brio scanzonato e cadenze felici. Come nei sonetti caudati “Il civilista” e “Il penalista” della raccolta “Tragico Riso” edita da Manni a Lecce nel 2005, nei quali il poeta urbinate sviscera una vena indubbiamente satirica, che gli consente di esprimersi con semplicità di linguaggio e di immagini. Poiché Antonio Fabi ha in comune con Marco Valerio Marziale l’avvocatura.
Il poeta latino non la esercitò e di ciò si dolse o lamentò per la insufficienza e precarietà del suo reddito, scrivendo in età avanzata “Se io avessi voluto far l’avvocato e vendere parole ai processati..”. Il poeta urbinate, invece, l’ha esercitata e continua ad esercitarla percependo compensi dai suoi processati per le parole che scrive e pronuncia a loro difesa.
Marziale, dopo aver trascorso 35 anni a Roma, concluse la sua esistenza nell’anno 104, ospitato e assistito da Marcella, un’amica di alta condizione (benestante, insomma!), sua conterranea, a Bilbilis vicino a Tarragona in Spagna, dov’era nato il 1° marzo dell’anno 39 o 40. Antonio Fabi continuerà ad abitare in Urbino, dov’è nato nel 1951 e si è acculturato, dedicando sempre più meno tempo e interessi all’avvocatura, per dedicarsi alla scrittura poetica.
 
Concludo parafrasando un testo del Kamasutra, inizialmente composto nel VI sec. a. C. da sette sapienti, e rimaneggiato nel IV sec. a. C. dal poeta indiano Vatsyayana, consigliando a ogni donna, talentata per godersi e far godere l’auparishtaka o amplesso nella bocca, cosa e come fare.
1-Consiglio di prendere il pene dell’uomo con le mani e di muovere la bocca, introducendolo fra le labbra, se intende realizzare “l’unione nominale”.
2-Consiglio di coprire la fine del pene con le dita unite come il bocciolo di una pianta o di un fiore, e di premere i lati con le labbra, usando anche i denti, se intende dare piacere“mordendo i lati”.
3- Consiglio di premere la fine del pene con le labbra chiuse e di baciarlo come se voglia tagliarlo, quando l’uomo desidera continuare, per far godere le “pressioni sui lati”.
4- Consiglio d’introdurre il pene nella bocca, e di premerlo con le labbra, prima di tirarlo fuori, quando le sarà chiesto di continuare, per produrre il piacere “premendo internamente”.
5- Consiglio di baciare il pene come se si baciasse il labbro inferiore, prendendolo fra le mani, per far godere all’uomo il “baciare”.
6- Consiglio di toccare il pene dappertutto con la lingua, passandola sulla sua punta, dopo averlo baciato, per fare apprezzare all’uomo il piacere dello “strofinare”.
7- Consiglio d’introdurre la metà del pene in bocca e di baciarlo con forza e succhiarlo, toccandolo dappertutto con la lingua, per simulare il “succhiare un frutto di mango”.
8- E consiglio infine, d’introdurre in bocca l’intero pene, col consenso dell’uomo, e di premerlo e spremerlo sino alla fine con l’intenzione d’inghiottirlo, per concludere con l’“inghiottire”.
 
POST SCRIPTUM
Un uomo della mia età (l’età di molti!) mi ha riferito di aver goduto più volte la fellatio con una donna che potrebbe “consigliare” altro. Quest’uomo della mia età ha scritto e fatto recapitare numerose lettere alla sua partner superfellatiosa, grato e riconoscente. Una di esse la trascrivo perché la considero esemplare.
Mia cara,
l’auparishtaka o amplesso nella bocca me lo fai godere senza interruzione ogni volta fino a che non mi dichiaro sfinito e appagato. Perché disponi di una bocca giovane con molli labbra ben disegnate e non siliconate, una bocca in regola per intrattenere rapporti orali spudorati e reiterati. Perché sai come cominciare aprendo le labbra e sfiorare la sommità del glande con la lingua. Perché sai come leccarlo delicatamente come un gatto, prima di prenderlo in bocca e chiudergli le labbra tutt’intorno. Perché sai come succhiarlo con passione producendo scintille di piacere che mi incendiano tutto il corpo. Perché, in definitiva, sai come far montare la testa al mio cazzo con pochi tocchi, fino a che non ti riempie la bocca slargandotela e lo inturgidisci ulteriormente con succhiate e manipolazioni sapienti ritmate, facendolo eruttare incontinente.
Ad majorem fellatio gloriam!

descrizione