DI SETTE OPERE DI PIERO MANZONI SEQUESTRATE E PROCESSATE

VENDUTE A UN COLLEZIONISTA DANESE IN BLOCCO AL PREZZO DI UNA DA UN AVVOCATO COGNOMATO PELIZZARI – PROVENIENTI DAL DEFUNTO GIANNI SCHUBERT (anticipazione del “TOMO SECONDO” di Enzo Rossi-Ròiss, in corso di stampa)
di Enzo Rossi-Ròiss
Per dossierare ciò che è già accaduto, relativamente a un “affaire” giudiziario che riguarda 7 opere mercanteggiate come “oggetti materiali” concepiti e manu-fatti da Piero Manzoni, comincio col dare risposte agli interrogativi delle cinque W “canoniche”, insegnate ai giornalisti scolari apprendisti come “sapere” indispensabile per la redazione in breve di una notizia.
Who? («Chi?») – Un cittadino danese nomato Jan Ghisalbeti, facoltoso imprenditore orto-frutticolo. What? («Cosa?») – Ha acquistato sette opere di Piero Manzoni, riprodotte nel catalogo edito a Milano dall’Associazione Amici di Piero Manzoni nel 1990. When? («Quando?») – Le ha acquistate durante l’anno 2014 pagandole 210mila euro. Where? («Dove?») – Tramite un conoscente avvocato bresciano cognomato Pelizzari che si è appropriato indebitamente della somma versatagli. Why? («Perché?») – Tutte opere provenienti dal gallerista milanese Gianni Schubert (morto 76enne nel 2010, assassinato e buttato nei navigli fatto a pezzi da un collaboratore), cedute dall’avvocato bresciano Carlo Pellizzari in blocco al prezzo di una, considerando le valutazioni delle case d’asta internazionali. La Fondazione Manzoni ha esaminato tali opere, giudicandole sbrigativamente (pregiudizialmente) “false” (documentata la provenienza). Una azione giudiziaria è stata generata, perciò, a Milano il 9 gennaio 2017: imputato l’avvocato Carlo Pelizzari di Brescia. Avvocati difensori di interessi contrapposti, conseguentemente si sono attivati “cavillando”. Il collezionista danese Jan Ghisalbeti ha cominciato a meditare sul da fare per la difesa “motu proprio” degli interessi economici personali. Gli eredi di Gianni Schubert (la moglie e la figliolanza) hanno reclamato la restituzione delle opere rivelando di averle affidate in conto vendita al Pelizzari resosi responsabile del reato di appropriazione indebita. Fino al 13 luglio 2018, giorno in cui ha cominciato a far notizia la sentenza emessa da Monica Amicone, giudice monocratico del Tribunale di Milano, che ha condannato Carlo Pelizzari a un anno e sei mesi con 900 euro di multa, per l’appropriazione indebita delle 7 opere di Piero Manzoni vendute al facoltoso collezionista orto-frutticolo danese: quattro “tele”, una “ovatta”, due “pacchi”. Con i danni patrimoniali e non da risarcire, sentenziabili da un separato giudizio civile. Disponendo il mantenimento del sequestro delle 7 opere: dopo aver considerato incalcolabile il contenzioso civile tra le parti in causa, e irrisolvibile l’enigma relativo alla loro “genuinità”. Poiché:… analizzando le testimonianze e le consulenze depositate nel dibattimento, non è stato possibile addivenire ad un giudizio di sicura falsità delle sette opere, data la estrema soggettività dei criteri utilizzati da due esperti coinvolti nel procedimento. (Sic! nelle motivazioni della sentenza) Poichè ogni danno può essere quantificato soltanto dopo la certificazione della autenticità delle opere, acclarata da esami scientifici appositamente eseguiti dai carabinieri del ROS (Reparto Operativo Speciale) per l’accertamento della datazione (ante 1963, post 1963, post 1975) dei materiali che le costituiscono (legno, ovatta, fibre, sassetti, metalli, tessuti, collanti, pigmenti, materie etereogenee, impronte ricorrenti…et quant’altro materico similia).
ANNOTAZIONE Campionariando la web-eco-press suscitata dall’affaire Schubert-Pelizzari “dossierato”, ho considerato esemplare il testo intitolato “Quadri scomparsi e gallerista ucciso: giallo al processo di Milano”, pubblicato il 23/01/2017 (https://it.blastingnews.com < Cronaca )… che risulta copiaincollato qui di seguito.
I lavori di Piero Manzoni, artista contemporaneo morto nemmeno trentenne agli inizi degli anni ’60, sono al centro di un processo in corso a Milano, il quale si sta trasformando in una vicenda colma di misteri e sotterfugi degni del migliore dei romanzi gialli. Il fascino dell’Arte gioca il ruolo di perfetto contorno per la causa riguardante le sette opere scomparse e mai più ritrovate. L’imputato Carlo Pelizzari, avvocato bresciano accusato dal pm Luigi Luzi di ricettazione e truffa, avrebbe venduto, al collezionista danese Jan Ghisalbeti, sette prodotti artistici di Manzoni contraffatti. Il problema ora è però la comparsa di nuovi presunti proprietari degli stessi. Giovanni Schubert, noto gallerista milanesi ucciso, fatto a pezzi e gettato nel Naviglio sette anni fa da un suo collaboratore poi accusato all’ergastolo, sarebbe il proprietario ufficiale delle opere in questione. Il giudice Monica Amicone si trova quindi di fronte alla pretesa della moglie e delle figlie del Schubert alla riconsegna delle opere nelle loro mani, essendo loro le uniche ereditiere ufficiali dell’oggetto in causa. Il Pelizzari, secondo la testimonianza delle donne, sarebbe l’unico ad aver avuto contatti con il defunto Schubert, e quindi l’unico a poter entrare nelle gallerie ove il collezionista deteneva i lavori al centro della causa. Secondo la Fondazione che porta il nome dell’artista Manzoni le opere oggetto del processo sarebbero dei falsi. Il Schubert però, cinque anni prima del suo decesso, fu al centro di un’altra causa inerente a queste ultime. Mario Schifano, altro protagonista dell’arte contemporanea, fu giudicato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere vittima del Schubet, il quale fu arrestato ma poi rilasciato dalla stessa corte. Il mistero dei lavori di Manzoni si infittisce, quindi, soprattutto per la questione della nuova comparsa delle presunte ereditiere del gallerista defunto. Perchè mai le donne avrebbero fatto capolino all’interno di una causa per opere contraffatte? I lavori erano stati venduti da Pelizzari al collezionista danese per 210mila euro e ora il loro valore potrebbe superare di gran lunga tale cifra. Sarà vero che si tratta solamente di falsi?